Il vincolo finanziario nel Gruppo IVA – Verifica della sussistenza in ipotesi di branch taliana di soggetto passivo non residente

Ai sensi dell’articolo 70-bis del D. P. R. n. 633/1972, uno dei requisiti per la costituzione del Gruppo IVA è la sussistenza congiunta, tra i soggetti partecipanti al gruppo, dei vincoli finanziario, economico ed organizzativo, come disciplinati dall’articolo 70-ter del D. P. R. n. 633/1972. In merito alla sussistenza del “vincolo finanziario” si sono posti alcuni dubbi interpretativi, in particolare con riferimento alle stabili organizzazioni IVA di entità non residenti nel territorio dello Stato, stante la previsione normativa contenuta nell’art. 70-ter che, per l’identificazione di tale vincolo, richiama espressamente il concetto di “rapporto di controllo” come definito ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile. Con Risposta n. 539 del 11 novembre 2020, l’Agenzia delle Entrate si è occupata di tale fattispecie, sostenendo che la meccanica di funzionamento del Gruppo IVA porta ad escludere che possano entrare a far parte del Gruppo, in veste di controllati, soggetti quali le stabili organizzazioni IVA di entità non residenti nel territorio dello Stato, nei cui confronti «non risulta possibile accertare la presenza dei requisiti di cui all’art. 2359, primo comma, del codice civile». A parere dell’Agenzia delle Entrate, le stabili organizzazioni IVA di soggetti passivi non stabiliti possono entrare a far parte del Gruppo (unitamente alle altre società controllate stabilite in Italia) esclusivamente nell’ipotesi in cui la casa madre eserciti, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, un controllo di diritto nei confronti delle altre entità stabilite nel territorio dello Stato, a loro volta aderenti al Gruppo IVA. Come verrà esaminato, l’interpretazione – di tipo meramente letterale – della normativa domestica, fornita dall’Agenzia con risposta all’interpello, pone alcuni interrogativi soprattutto se confrontata alla disciplina prevista a livello unionale dalla Direttiva IVA e dalle linee guida della Commissione europea.

https://sfef.egeaonline.it/it/61/archivio-rivista/rivista/3452126/articolo/3452173

Gli effetti dell’estinzione differita delle società in ambito tributario – Riflessioni in tema di notificazione degli atti impositivi ad una società estinta e legittimazione attiva per l’impugnazione


ABSTRACT “L’art. 28, quarto comma, del D. Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, ha stabilito che, ai fini della validità ed efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione, l’estinzione della società, disciplinata dall’art. 2495 c.c., ha effetto solo dopo che siano trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del registro delle imprese. il legislatore ha quindi introdotto nell’ordinamento una fictio iuris con cui è stata disposta la sopravvivenza quinquennale della società cancellata, ai soli fini della validità ed efficacia degli atti impositivi, di riscossione e di contenzioso dell’Amministrazione finanziaria, senza però prevedere alcun coordinamento tra la normativa tributaria e la già complessa disciplina civilistica in materia di estinzione di società. Di qui nasce l’esigenza di approfondire nel presente elaborato, in via interpretativa, due degli aspetti che, nell’ordinamen- to tributario, tipicamente richiedono l’applicazione di principi ed istituti civilistici: la notificazione degli atti e la legittimazione attiva all’impugnazione. in parti- colare, con l’obiettivo di fare chiarezza in un quadro normativo ambiguo e disorganico, verranno esamina- ti i diversi orientamenti espressi con riferimento alle modalità di notifica degli atti dell’Amministrazione alla società cancellata, con riguardo al luogo di no- tifica e all’individuazione dei soggetti legittimati alla ricezione degli atti. Si esamineranno poi le nume- rose problematiche che si presentano all’interprete nell’individuazione dei soggetti legittimati ad agire per l’impugnazione degli atti notificati dall’Amministrazione alle società estinte, anche in considerazione delle conseguenze in termini di inammissibilità del ricorso che possono derivare dall’impugnazione proposta da soggetto carente di legittimazione attiva. Anche tale argomento verrà trattato sulla base sia degli orientamenti espressi dall’Agenzia delle entrate e dalla dottrina sia di quanto già affermato dalla Su- prema Corte in merito agli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese in ambito civilistico.

Gli strumenti finanziari ibridi nel Decreto ATAD

ABSTRACT “Con il Decreto Legislativo n. 142 del 29/11/2018 sono state recepite nel nostro ordinamento le Direttive ATAD 1 e ATAD 2, emanate dall’Unione Europea in materia di contrasto all’elusione fiscale internazionale. All’interno del Capo IV del D. Lgs. n. 142/2018, il Legislatore si è occupato del tema del “disallineamento da ibridi”, definendo quali sono gli effetti che possono derivare da situazioni di disallineamento tra regimi fiscali di ordinamenti diversi (“doppia deduzione” e “deduzione senza inclusione”) e dettando specifiche misure di contrasto al fenomeno del disallineamento da ibridi. Nel presente elaborato, si approfondisce il tema degli “strumenti finanziari ibridi”, distinguendo tra le tre categorie individuate dalla normativa, nel solco di quanto già disposto dall’Action 2 BEPS e dalle Direttive ATAD (strumenti finanziari, trasferimenti ibridi e pagamenti sostitutivi), ed esaminando le relative norme di contrasto introdotte dal legislatore, le quali richiedono la preliminare qualificazione dell’ordinamento italiano come <<giurisdizione del pagatore>> o <<giurisdizione del beneficiario>>

Il disconoscimento da parte dell’Amministrazione finanziaria del rimborso del credito indicato in dichiarazione oltre il termine di decadenza per la rettifica e per l’accertamento

ABSTRACT “Il presente articolo si pone l’obiettivo di esaminare i diversi orientamenti espressi in materia di rimborso dei crediti d’imposta indicati in dichiarazione, per cui l’Amministrazione finanziaria non abbia eserci- tato alcuna rettifica entro i termini ordinari previsti dalla normativa, con l’intento di stabilire se il credito chiesto a rimborso nella dichiarazione possa essere disconosciuto dalla stessa Amministrazione anche oltre i termini ordinari di decadenza del potere di accertamento. L’analisi della questione ovviamente si incentra sull’esame di quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2016, ma non può prescindere dalla disamina dei precedenti orien- tamenti della giurisprudenza di segno contrario, non- ché delle critiche rivolte dalla dottrina alla soluzione indicata dalla Suprema Corte, e dalla verifica dell’ef- fettivo recepimento dell’insegnamento delle Sezioni Unite da parte delle Corti di merito. Infine, verran- no esaminate le inevitabili ricadute dell’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione sulla ripartizione dell’onere della prova nelle cause di rimborso.

Interpretazione estensiva da parte della Corte di Cassazione dei “nuovi elementi” che possono giustificare l’emissione di un accertamento integrativo – Nota a sentenza Corte Cass. 13.9.2017, n. 21237 e ordinanza Corte Cass. 8.11.2017, n. 26500

ABSTRACT “La sentenza n. 21237 del 2017 qui in commento si pone in discontinuità con l’orientamento maggioritario della Corte di Cassazione in materia di “accertamenti integrativi”. Infatti la Suprema Corte, cassando la sentenza di secondo grado e rinviando la causa alla Commissione tributaria regionale, afferma che i “nuovi elementi”, che giustificano l’emissione di un accertamento integrativo ai sensi dell’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, possono essere costituiti anche da elementi extracontabili tali da indurre una rivalutazione dei documenti contabili già in possesso dell’Amministrazione finanziaria, rilevato che la lettera normativa risulta quanto mai ampia rispetto alla fonte di tali elementi.

Onere della prova in ordine alla consapevolezza della partecipazione alla frode “carosello”

ABSTRACT “Nell’ipotesi di accertamento nei confronti di una società a cui l’Amministrazione finanziaria contesti il coinvolgimento in una frode “carosello”, l’elemento determinante è rappresentato dalla dimostrazione della consapevolezza, o meno, della partecipazione alla frode da parte del contribuente. Infatti, se da un lato ovviamente il diritto di detrazione dovrà essere negato a coloro che abbiano ideato e materialmente realizzato l’operazione diretta ad evadere l’IVA, dall’altro con riferimento agli altri operatori coinvolti nelle operazioni fraudolente la dimostrazione della consapevolezza della partecipazione alla frode costituisce il discrimine al fine di stabilire la spettanza o meno del diritto alla detrazione dell’IVA.
Come verrà di seguito analizzato, l’imputazione dell’onere della prova della consapevolezza in capo all’Amministrazione finanziaria piuttosto che al contribuente, nonché l’oggetto della prova stessa, sono stati delineati in maniera non uniforme sia dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea che dalla Corte di Cassazione.
In particolare la Corte di Giustizia UE è giunta a stabilire il condivisibile principio secondo cui spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare la consapevolezza da parte del contribuente della partecipazione alla frode, dando quindi decisivo rilievo all’elemento soggettivo e chiarendo che i soli elementi costitutivi della frode, relativi a soggetti diversi dal contribuente, non possono autonomamente giustificare il disconoscimento del diritto di detrazione dell’IVA, in quanto non sufficienti a dimostrare la consapevolezza da parte del contribuente.
Diversamente, la Corte di Cassazione ha a lungo sostenuto l’irrilevanza dell’elemento soggettivo, facendo discendere l’indetraibilità dell’IVA direttamente dalla qualificazione di operazioni “soggettivamente inesistenti” delle cessioni coinvolte nella frode.

Il riconoscimento di un’incidenza percentualizzata dei costi nell’accertamento induttivo

ABSTRACT “Un’interessante pronuncia della Suprema Corte ci offre lo spunto per svolgere alcune riflessioni in ordine al controverso e spinoso problema del riconoscimento dei costi non contabilizzati nell’ambito dell’accertamento induttivo.
In primo luogo, la Suprema Corte afferma che, in materia di applicazione di norme processuali che comminano sanzioni di inammissibilità, il definitivo sacrificio dell’interesse ad agire del contribuente può essere giustificato soltanto nei casi in cui la particolare gravità del vizio che affligge l’atto introduttivo ed il conseguente impedimento alla prosecuzione del giudizio siano giustificati a loro volta dal preminente interesse pubblico alla soddisfazione di quelle esigenze che la legge persegue nell’interesse generale attraverso il regolare svolgimento della funzione giudiziaria. In secondo luogo, viene confermato il principio ormai consolidato secondo cui, in caso di rettifica induttiva dei redditi, l’Ufficio finanziario deve tenere conto non solo dei maggiori ricavi, ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi. La Corte di Cassazione sembra però ipotizzare, sia pure con una certa cautela, un’interpretazione estensiva di tale principio alle ipotesi in cui, pur avendo l’Ufficio proceduto utilizzando il metodo analitico-induttivo di cui all’art. 39, primo comma, lett. d), del D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, l’accertamento presenti in concreto carattere «sintetico», ovvero prescinda dal riferimento alla contabilità dell’impresa. Pur senza affermarlo direttamente, la Suprema Corte sembra infatti ammettere il riconoscimento dell’incidenza percentuale dei costi anche nell’ipotesi di accertamento analitico-induttivo.

La controversa utilizzabilità degli elementi acquisiti irritualmente dall’Amministrazione finanziaria nel corso dell’accertamento e il riconoscimento in capo al contribuente di una percentuale di incidenza dei costi sui ricavi presunti – Nota a ordinanza Corte Cass. 5.10.2012, n. 17051

ABSTRACT “La sentenza in rassegna ribadisce orientamenti già noti in materia di accertamenti bancari.
In primo luogo la Suprema Corte afferma che, in ambito tributario, l’irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento – e, precisamente, la mancanza della previa autorizzazione del comandante regionale della Guardia di finanza per gli accertamenti bancari – non comporta l’inutilizzabilità degli stessi, in assenza di una specifica previsione normativa in tal senso.
In secondo luogo la sentenza in commento conferma il principio consolidato secondo cui, negli accertamenti bancari, ove il contribuente sostenga che, a fronte dei maggiori ricavi accertati, sono stati sostenuti maggiori costi o che parte delle movimentazioni bancarie non sono riferibili all’attività professionale, ha l’onere di provare tali circostanze. Anche in ipotesi di accertamento induttivo, nel quale pure l’Ufficio deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano emerse dalle indagini compiute, è infatti esclusa l’automatica inclusione, tra le componenti negative, delle operazioni di prelievo effettuate dal contribuente dai conti correnti a lui riconducibili.

Le spese di sponsorizzazione sportive in bilico tra le spese di rappresentanza e le spese di pubblicità – Nota a ordinanza Corte Cass. 5.3.2012, n. 3433

ABSTRACT “L’annotata sentenza ribadisce il concetto, più volte affermato dalla Corte di Cassazione (1), secondo cui alle spese di sponsorizzazione sportiva deve applicarsi il regime fiscale delle spese di rappresentanza, previsto dall’art. 108 del D. P. R. 22 dicembre 1956, n. 917 (nella versione vigente sino al 31 dicembre 2007), e non quello più favorevole previsto per le spese pubblicitarie, se il contribuente non è in grado di dimostrare che le spese di sponsorizzazione sono state sostenute con lo scopo di ottenere un ritorno commerciale.
La Suprema Corte ha fondato la propria decisione sulla diversità strategica degli obiettivi che caratterizzano, da un lato le spese di rappresentanza, dall’altro le spese di pubblicità, individuando nella «diretta aspettativa di ritorno commerciale» il criterio discretivo tra le due tipologie di spesa. Infatti, mentre le spese di rappresentanza hanno come obiettivo la crescita d’immagine e il maggior prestigio dell’azienda, senza alcuna diretta aspettativa di ritorno commerciale, le spese di pubblicità e propaganda hanno invece finalità promozionale e di incremento commerciale.

Accertamento sintetico, redditometro, presunzioni e la diabolica prova contraria – Nota a sentenza Corte Cass. 20.5.2011, n. 11213

ABSTRACT “L’annotata sentenza, dopo aver ribadito la legittimità costituzionale dell’art. 38, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dei DD.MM. 10 settembre 1992 e 19 novembre 1992 (1), stabilisce due importanti principi in materia di accertamento sintetico basato su redditometro, precisando, in primo luogo, il concetto di «disponibilità», richiamato dall’art. 3, secondo comma, del D.M. 10 settembre 1992, ed esprimendosi, in secondo luogo, a proposito dell’onere della prova in merito al sostenimento delle spese di mantenimento di un bene o servizio.